La fede di un pubblicano
Gesù presenta due modelli di vita:
un fariseo, che sta davanti al proprio io: sicuro della sua bontà, giustifica se stesso e condanna gli altri;
e un pubblicano che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé, si accusa e invoca il perdono.
Il fariseo non sta davanti a Dio, ma a se stesso; non parla con Dio, ma con se stesso. La sua preghiera non è un dialogo, ma un monologo
Sembra ringraziare Dio, ma gli parla per autocompiacersi. Si appropria dei doni di Dio per lodare se stesso invece del Padre e disprezza gli altri, invece di amarli.
Se la preghiera non è umile, è una separazione diabolica dal Padre e dai fratelli. E’ lo stravolgimento massimo! È il peccato allo stato puro.
Infatti il fariseo accusa gli altri di essere rapaci, ma lui si appropriar della gloria di Dio.
Li definisce ingiusti, perché non fanno la volontà di Dio, ma lui trasgredisce il comandamento dell’amore per Dio e per il prossimo.
Li accusa di adulterio, ma lui si prostituisce all’idolo del suo io e non adora il Dio vero.
La preghiera del pubblicano, fatta con fede, è quella dell’umile, simile a quella dei lebbrosi e del cieco: purifica e illumina.
È una supplica con due poli: la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo.
L’umiltà è l’unica realtà capace di attirare Dio: fa di noi dei vasi vuoti, che Lui può riempire di grazie.
La fede che giustifica viene dall’umiltà che invoca misericordia.
Al contrario, la presunzione della propria giustizia non salva nessuno.
Il giusto non è giustificato finché non riconosce il proprio peccato.
Senza umiltà non c’è conoscenza vantaggiosa né di sé né di Dio, e si rimane sotto il dominio del maligno.
Se il peccato è la superbia e il peccatore è il superbo, l’umiltà richiesta ad ogni credente è di riconoscere la propria umiliante realtà di fariseo superbo.
L’autore dell’Imitazione di Cristo sintetizza così la morale della parabola: “A Dio piace più l’umiltà dopo che abbiamo peccato che la superbia dopo che abbiamo fatto le opere buone”.
Attraverso la figura del pubblicano Gesù ci esorta:
1. dobbiamo lasciarci accogliere e perdonare da Dio, che con la sua forza può curare e guarire la nostra debolezza;
2. non perdiamo tempo a guardare fuori di noi, scrutando con occhio cattivo le mancanze degli altri;
3. vegliamo su noi stessi, accettando di riconoscere la nostra condizione di peccatori, di persone che “non fanno il bene che vogliono, ma il male che non vogliono” (cf. Rom 7,19).