Signore, se vuoi, puoi sanarmi
Per evitare ogni contagio della lebbra, che si manifestava con macchie sulla pelle e consumava progressivamente tutto il corpo, in base ai rigidi principi di purità rituale i lebbrosi erano
esclusi da ogni attività e dai contatti con persone sane.
Costretti a rimanere fuori dei centri abitati, i lebbrosi dovevano velarsi il volto come per
il lutto e, se qualcuno si avvicinava, loro dovevano avvertirlo della loro condizione, gridando
“Impuro, impuro!”. Così erano come dei ‘morti viventi’.
Secondo la mentalità biblica, il male era visto come il castigo per peccati gravi; così sul
malato pesava anche il senso di colpa.
Un lebbroso, pur sapendo tutte queste cose, osa avvicinarsi a Gesù, si inginocchia davanti
a lui e lo supplica.
Chiede di essere purificato,
cioè di vedere la sua pelle e la sua carne integra,
ma anche di essere perdonato dai suoi peccati,
liberato da tutto ciò che lo tiene lontano da Dio e dagli uomini.
Di costui non sappiamo nulla. Certo ha fiducia in Gesù, che gli pare affidabile; è attratto
come da uno che può fare qualcosa per lui.
Si accosta dunque al Signore, mostrando di avere una buona dose di coraggio. Infatti trasgredì le norme della religione per arrivare vicino a Gesù. E gli gridò: “Se tu vuoi, puoi guarirmi.
Non hai bisogno di toccarmi!”.
La frase rivela due mali:il male della lebbra che lo rendeva impuro;e il male della solitudinea cui era condannato dalla società e dalla religione.E anche la grande fede dell’uomo nel potere di Gesù.
Gesù, profondamente commosso, guarisce i due mali.
In primo luogo, per curare la solitudine, tocca il lebbroso. È come se dicesse: “Per me, tu
non sei un escluso. Io ti accolgo come un fratello!”. E poi cura il lebbroso dicendo: “Lo voglio! Sii
curato!”. Il lebbroso, per poter comunicare con Gesù, era andato contro le norme della legge.
Anche Gesù, per poterlo aiutare e rivelare un volto nuovo di Dio, va oltre le norme della
sua religione.
Ha compassione di lui. Perciò “tese la mano” (il gesto del Dio liberatore nell’Esodo), cioè
entra in comunione con lui.
Quindi “lo toccò”, prendendo su di sé la malattia, il peso del peccato, l’emarginazione di
quell’uomo. Infine “disse” di volerlo guarire.
Questo modo di fare (gesto e parola) è stato ripreso nella celebrazione dei sacramenti. Così
entriamo in piena comunione con Gesù, che vince ogni (nostro) male con il (suo) bene.