Domenica 2 marzo 2025 • Ultima domenica dopo l'Epifania
Quante parole Zaccheo sentiva attorno a sé e in sé. Dall’essere definito ladro, amico dei romani con i soldi del popolo oppresso di Israele, a essere definito ricco con la disonestà. Eppure quel giorno quando Gesù passa da Gerico, è come se in Zaccheo scattasse qualcosa, il desiderio di un incontro che dona nuova vita, una vita vera che va oltre alle “morti” che le nostre parole creano.
Gerico, la città più antica del mondo, viene scelta da Gesù per chiamare la pecora più perduta della città, segno di come il suo amore è per tutti. Un amore che non ha paura di alzare lo sguardo da terra, per guardare negli occhi ciascuno di noi (lo stesso gesto Gesù lo compirà nella lavanda dei piedi, quando guarderà gli occhi dei discepoli), segno di come lo sguardo di Gesù desidera donare vita! E quel giorno Gesù, con solo uno sguardo di amore e non di critica, dona a Zaccheo la vita.
Quella vita che lo aiuta a raccontare il come usa il suo denaro, come vive il rapporto con le ricchezze, raccontando anche l’attenzione che ha verso i poveri. E’ uno sguardo di amore che accende la libertà e che invita la libertà ad amare, a saper dare un nome a quello che viviamo, per rifiutarlo, combatterlo, e lasciar trionfare l’amore.
Questa ultima domenica dopo l’Epifania, detta del perdono, diventa quindi una porta aperta alla Quaresima e in particolare al dono della confessione. Quando qualcuno mi da l’osservazione sul “perché devo confessare i miei peccati, tanto Dio li sa già”, la risposta è una: è vero Dio sa, ma Dio non si accontenta di sapere, desidera donare una risposta al male che hai fatto. E la sua risposta non è l’accusa che denigra la persona, non è il dito puntato o una etichetta per la vita eterna. La sua risposta è uno sguardo di amore che da un nome al male che hai vissuto, ma che allo steso tempo ti invita a metterti in viaggio con Lui a Gerusalemme, per gustare la pienezza del suo amore pasquale.
Non solo, la confessione porta con sé un secondo dono: generare un noi! Sì perché il male crea sempre un effetto negativo anche nel rapporto tra noi, anche il male più nascosto crea una frattura, ma non solo con i vivi, ma anche con i nostri cari in cielo. Il peccato crea sempre una frattura sociale, una frattura al noi della Chiesa. Imparare l’arte dell’amore che accompagna a fare verità porta e deve portare ciascuno di noi a imparare a guarire e a lenire le ferite con lo stesso amore di Gesù. E quando una ferita viene lenita? Quando un fratello o una sorella iniziano a vivere e a riscoprire anche con la tua presenza, la bellezza della confessione come sguardo che ti ama e ti rialza, e la bellezza del generare un noi che sa dire “Grazie, scusa, ti voglio bene” nell’eucarestia della domenica, nel noi che viene generato dall’Amore che si dona e che ci vuole tutti fratelli nel cuore e di fatto, indipendentemente dall’invito del sacerdote.
Questo vuol dire allora mettersi in cammino nella Quaresima: non per fare rinunce sciocche, ma per riappropriarmi dello sguardo di Gesù, sguardo nella quale mi può amare, sguardo che riabilita il cammino di tutti, nessuno escluso, sguardo che invita a saper donare lo stesso amore che non riduce l’uomo al male compiuto o subito, ma che lo fa rialzare dicendo il dono che è! Questo vuol dire vivere le opere di misericordia e la carità dell’ascolto e dell’attenzione perché tutti sia uniti in Cristo Gesù. Questa unione nell’amore è il senso della nostra libertà, il peso delle nostre scelte di vita, la radice che invita a riscoprire la missione della Chiesa: chiamata a portare lo sguardo di misericordia di Gesù a tutti.