Domenica 10 novembre 2024 • Gesù Cristo Re dell'Universo
All’apparenza una sconfitta: così è visto il Calvario dalla folla che passava quel giorno sotto la croce. La sconfitta di un uomo, delle sue credenze. Non solo. Anche per uno dei condannati l’uomo di Nazareth è uno sconfitto, più di Lui: se tu sei il Cristo salva te stesso e noi! Quante volte anche noi ci sentiamo così, viviamo questa sconfitta, questa atroce delusione del cuore e della vita. Lo vediamo nel contesto pubblico, lo viviamo nel privato. E quando ci sentiamo sconfitti, nel fallimento non ci sentiamo protagonisti, non ci sentiamo importanti, tutt’altro: vorremmo sparire, vorremmo non essere visti dagli altri.
La Parola del Vangelo, invece, ci rivela l’atteggiamento di Gesù. Gesù non si lascia sopraffare dal dolore e dalla fatica di quel momento, tutt’altro. La sua vita è totale adesione al Padre, al suo progetto di Amore per l’uomo. Ed è in questa adesione che paradossalmente la sua sconfitta, diventa la sua vittoria, la croce diventa invece il trono della sua Gloria. Trono della Gloria la croce che lo porta addirittura a perdonare e donare lo sguardo e l’abbraccio della salvezza al ladrone che invece di cercare una scorciatoia di salvezza, si abbandona a Gesù e alla sua regalità che passa dalle ferite dell’uomo per redimerle.
Cosa vuol dire allora vivere la festa di Cristo Re? Vuol dire anzitutto ricordarci che nel momento più buio della nostra vita noi non siamo soli, ma Gesù ci prende per mano, Gesù si affianca a noi, Gesù ci salva da quella morte che ci porta a deprimerci, ci salva da quello sconforto che ci porta a ritenerci sconfitti. Ci salva, ci ama, ci ricorda la nostra vocazione, il nostro essere chiamati a portare la Sua luce e la Sua salvezza. Ci porta e ci manda ad essere capaci di abbracciare la verità che dice chi è l’uomo, la verità che salva, la verità che invita a vivere la pienezza della vita come vocazione!
Vivere la festa di Cristo Re vuol dire imparare a lasciarci abbracciare dal Crocifisso Risorto, vuol dire imparare a porre il nostro orecchio sul suo cuore. Cuore che è stato capace di spogliarsi, di scegliere di spogliarsi da tutti gli “orpelli della sua divinità”, per abbracciare con essa l’umanità più lontana e ferita. Chi mette il suo orecchio sul cuore di Gesù vive questo esercizio doppio: si spoglia di sè, andando dritto al punto dove si sente più lontano da Gesù, perché la sua presenza abiti e trasformi le nostre povertà, e dall’altra diventiamo noi stessi capaci di essere quella mano che incoraggia i fratelli ad abbracciare la verità della loro vita, a essere un segno luminoso della chiamata di Gesù.
E’ da questi “esercizi del cuore” che riscopriamo quindi la bellezza di lasciarci avvolgere dal suo manto, dalla sua gloria, per essere un segno con la nostra vocazione di essa, ma soprattutto di come la parola vera a che risuonerà sempre sarà amore e vita, e in questa vita la bellezza del lasciarci amare per amare con tutto il nostro cuore!