Ci vuole... un cuore in ricerca

Su ali d'aquila

Domenica 23 giugno 2024 - V Dopo Pentecoste


Nei nostri giorni per essere qualcuno sembra che devi avere tanti titoli, tante riconoscenze, diplomi, studi vari. Devi avere insomma delle competenze se vuoi essere qualcuno, qualcuno che sa stare al mondo, che sa viverlo. Per essere qualcuno, inoltre, bisogna immaginarsi una vera e autentica carriera, cercare aspirazioni, tendere sempre a puntare in alto. Tutto bisogna cercare di fare per essere qualcuno.

Il padre delle tre fedi monoteiste, però, sembra smentire l’idea del nostro tempo. Abram, un uomo di novant’anni circa, chiamato da Dio a essere padre di molti popoli, alla fine era un anziano, uno scarto per il nostro tempo. Perchè Dio allora lo ha scelto, perchè Dio gli ha dato un incarico così gravoso, alla sua veneranda età? Perchè Abram ha accettato la sua storia, non sta davanti a Dio con pretese, con richieste fuori luogo. Sta davanti a Dio con la sua storia, con la sua piccola storia, sapendo che la sua vita è nelle mani di Dio. Abram è diventato Abramo, Sarai è diventata Sara perchè alla fine questa coppia ha accolto pienamente la sua storia, fatta anche di ferite, ma l’hanno accolta non piangendosi addosso, ma fidandosi e affidandosi a Dio. Ed è in questa fiducia piena a Dio che Abramo e Sara diventeranno non semplicemente genitori di Isacco, ma segno di quella umanità che desidera camminare nella luce di Dio, in quella piena fiducia nel legame con Lui. Fiducia nel legame con Lui che viene espresso dal segno della circoncisione, segno di come la fecondità del popolo è e sta nel rapporto con Dio.

Il Vangelo indica le oscurità che si possono presentare nell’accogliere questo rapporto con Dio. Dal far finta di niente, al riconoscere la potenza dei segni, ma poi rimanere nel quieto vivere, nella assoluta pace, per non compromettersi. Oggi come allora l’umanità continua a vivere il raffreddamento del cuore, il non giocarsi pienamente in questo rapporto con Dio, rapporto filiale in Gesù, il figlio di Dio. E il non giocarsi nella figliolanza di Gesù implica come conseguenza la piena disumanità di oggi e di allora, la disumanità dell’uomo che si crede superiore a tutto, che pretende di decidere le sorti del mondo senza guardare all’uomo.

Il discepolo di Gesù, invece, nell’accogliere la sua storia, gioca pienamente la sua vita nella continua ricerca del volto di Gesù e in quel volto del volto del Padre che invita sempre, nel pieno rispetto della nostra libertà, a vivere un passo di vita e non di morte.

Ci vuole quindi un cuore che cerca il volto del Signore, un cuore che desidera accogliere la sua presenza, un cuore che sappia riconoscere che accogliere Gesù vuol dire accogliere una strada piena di vita, strada di pienezza della nostra umanità, strada di vita per tutti. E nell’accogliere la sua Vita accogliamo la nostra e, nella nostra, la storia di chi ci ha preceduto. Questo è il vero passo che ci rende uomini, che ci rende figli, questa è la vera ricerca che ci può rendere un qualcuno. Non un divo, un vip, ma un santo, cioè un uomo e una donna che accolgono il bene di Gesù nella propria vita e la donano a quanti incontrano con originalità, con creatività, con quel desiderio di veder risplendere la luce che suo Volto, volto di amore, volto di misericordia, volto che ama senza chiedere nulla, ma desiderando solo una cosa: la pienezza della tua vita, la pienezza della nostra umanità!
 

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