Domenica 09 giugno 2024 - III dopo Pentecoste
Tutti e due erano nudi e non provavano vergogna. La conclusione della lettura del libro della Genesi temo che molte volte la saltiamo, volete per pudore, volete perchè alla fine è un racconto eziologico, che racconta cioè la storia di sempre, fatta soprattutto di male e di errori da parte dell’uomo. E quindi, di fronte a questo versetto, possiamo immaginare come l’autore abbia cercato di raccontare un raro momento di pace per la vita dell’uomo e della donna. Perchè però il popolo santo di Dio ha accolto un versetto come questo? Cosa ci vuole narrare?
Dietro a questo versetto non dobbiamo con malizia leggere banalmente l’atto sessuale, ma direi invece il significato profondo della nostra libertà. Un uomo veramente libero non ha paura di essere nudo, non ha paura perchè è radicato nella verità. E la verità è quella che lo stesso racconto di Genesi narra qualche versetto prima: non è l’uomo che con le sue forze e capacità intellettive riesce a darsi l’aiuto necessario per uscire dalla solitudine, ma è Dio. L’uomo è vero se sta dentro una relazione, l’espressione massima della sua libertà è riconoscersi come senza legami l’uomo non è niente. Fra tutti i legami però solo uno è quello che può essere consacrato, perchè narra di Dio e di chi è Dio: Dio è Vita e la Vita si esprime in quella comunione delle persone divine (Padre, Figlio e Spirito Santo) che si rivelano nei legami che generano vita. Questi legami sono sacramentali, segno della vita che è Dio che si rivela nella nostra piccolezza di uomini e donne.
Ecco perchè la Parola del Vangelo insiste sulla indissolubilità del matrimonio. Un legame che genera vita non può essere intaccato da leggi umane, da quelle scorciatoie che non aiutano la libertà a crescere, ma a essere immatura e fuggitiva. Qui potremmo elevare una protesta contro il Vangelo, pensando soprattutto alle situazioni che la cronaca narra giornalmente. Più che però vedere una protesta contro il Vangelo, penso che la Parola ci provoca e ci domanda: come un tuo modo di concepire la libertà sta aiutando il tuo popolo a crescere? La cultura del “tutto e subito, faccio quello che voglio” è veramente una cultura che genera vita? Forse dobbiamo riscoprire i “confini” del giardino, quei confini cioè che tutelano l’uomo e la donna, li tutelano per quello che sono: vivi e non destinati alla morte, al fato, al nulla.
La vera vocazione alla vita è sempre una vocazione alla comunione, una vocazione che narra della bellezza della Chiesa: ce lo ha ricordato Paolo nella lettera agli Efesini. Superando le definizioni di questo tempo, Paolo esorta la comunità a custodire il legame indissolubile e casta delle scelte di vita, perchè ognuna di esse è espressione della comunione della Chiesa con Cristo. Senza l’amore di Cristo la Chiesa rischia di disperdersi nel mondo, senza la Chiesa la missione di Cristo è fallimentare. L’amore di Cristo non è amore che accondiscende i capricci dell’uomo, ma che traccia una strada all’uomo perchè sia vivo, e nella sua vita espressione di quell’unico Dio che trova compimento nella comunione coniugale o nella comunione con il popolo di Dio e Cristo per i consacrati. Dalle nostre “comunioni domestiche” passa la trasmissione della fede, passa il vero volto di Dio: quanto siamo fedeli a questo volto?
In questa eucarestia domenicale chiediamo quindi il dono della fedeltà alla comunione che è diventata nostra scelta di vita, perchè è in questa fedeltà, guardando all’amore di Gesù e alla sua fedeltà al Padre, che in verità le nostre vite diventano testimonianza di Vangelo, diventano testimonianza di come la Chiesa è veramente viva se noi, i figli, siamo vivi in colui che ci ha donato la Vita: Gesù Cristo. E’ il suo nome la nostra forza, la radice di ogni fedeltà, ed è in lui che possiamo non vergognarci della nostra storia, ma saperla mettere a nudo, per essere una autentica testimonianza di come la sua misericordia sempre può trasformare ogni aridità in una sorgente di comunione e di vita, in una sorgente ecclesiale!