Domenica 01 ottobre 2023 • V dopo il Martirio di S. Giovanni
Il Vangelo di questa domenica ci presenta due fili che si intrecciano, due fili che insieme ci narrano del dono più prezioso che abbiamo e che riconosciamo: la nostra vita! Ma perché e soprattutto quando riconosciamo il dono che siamo noi? La Parola ci aiuta a darci delle indicazioni precise, alla luce del dialogo che Gesù quel giorno vive con i farisei, venuti a interrogarlo per coglierlo in fallo nel discorso, e quindi con un intento cattivo. Neanche loro alla fine sanno quale è il principio e fondamento del loro cammino, presi a contemplare i 268 comandi positivi della legge e i 365 divieti di essa.
Gesù ci invita ad andare oltre i comandi e i divieti, a ricercare il fondamento di essi e soprattutto quale è il loro fine: aiutare l’uomo a crescere, a prendere consapevolezza del dono che è non da solo, ma con i fratelli e nei fratelli con Dio. Ed ecco quindi i due più grandi comandamenti: amerai il Signore Dio tuo, e il prossimo come te stesso. Alla radice dell’amore non c’è l’altro, ci sei tu, con la tua libertà. Questo penso è l’insegnamento spiazzante che oggi Gesù ci dona: se non scopriamo la pienezza della nostra vita, come possiamo amare, aiutare gli altri? Come posso essere originale senza conoscere la mia originalità? Gesù ci invita ad amare anzitutto noi stessi, ad amare non tanto le scelte sbandate, gli errori, le imperfezioni che abbiamo, non per accontentarci di quello che siamo. Amare non significa stare dentro un’etichetta che ci diamo e mi viene data, amare vuol dire invece sperimentare lo sguardo che Gesù ha saputo donare a tutti coloro che si sentivano imprigionati in etichette per scelte di vita sbagliati, per una condizione di salute triste,…. Gesù ci strappa dalle etichette che fanno differenze, ci strappa da quel modo stupido di ragionare che distingui i buoni dai cattivi, Gesù ci invita ad amare la nostra vita, a saperla guardare con uno sguardo che la rialza dagli errori, dalle imperfezioni, dalle critiche. Ci guarda perché ci ama!
Ed è questo lo sguardo che il prossimo deve ricevere. Amare come Gesù vuol dire saper donare questo sguardo di misericordia, questo sguardo che valorizza il dono che è la tua libertà. Amare non vuol dire riempire la vita di cose materiali, di impegni; amare non vuol dire vivere lo sballo che ci porta a perdere coscienza di quello che siamo; amare non vuol dire nemmeno accettare il divertimento malsano che abbiamo regalato noi adulti ai giovani, soprattutto lasciando spazio a quegli aspetti di vita che sappiamo che un ragazzo delle medie o delle superiori può ancora non totalmente comprendere negli effetti collaterali che un abuso di questi strumenti può compiere: sto parlando del fumo e dell’alcool. Amare, invece, vuol dire anche solo ricevere una parola che ridesta il cuore, che ridesta la mia vita: questo ho visto alla GMG, come le parole di un nonno come Papa Francesco, parole semplici, hanno scosso il cuore dei nostri giovani, gli hanno lasciato una domanda sulla loro vita, li hanno colpiti soprattutto in quegli aspetti della vita dove loro sanno che devono vivere una riconciliazione con sé e gli altri. Questo vuol dire amare il prossimo.
E nell’amore del prossimo che insieme possiamo vedere il volto di Dio. Il volto di Dio che si rivela in questa continua attenzione umana, volto che però incrocia sempre il volto dell’uomo della croce. Perché questo volto ci da fastidio? Perché facciamo fatica a guardalo con profondità? Il mondo lo ha ridotto a una favola, esaltando il nostro io, ma il mondo stesso così facendo manifesta la sua paura più grande. Perché in quel volto si rivela il volto di tante persone che hanno dato la loro vita per me, per noi. In quel volto si narra di un amore che soffre, soffre, ma per amore. Non arriviamo tutti fisicamente lì, ma chi ama veramente ama soffrendo, affidando, confidando, pregando e nella continua sua preghiera vive ogni giorno una conformità con Gesù, diventa simile a Lui. San Francesco, il patrono del nostro oratorio, ce lo ricorda con la sua vita, vita che si è totalmente immedesimata in Cristo fino al dono delle ferite della Passione.
Amare vuol dire veramente essere liberi. Liberi se cogliamo la pienezza di vita presente in noi tutti, a partire da noi stessi, se cogliamo che possiamo vivere la luce della vita in uno stile di amore che non è quello del “tutto e immediato”, che non è quello del “faccio gi affari miei”, ma è quello di Cristo: l’amore che si ferma, l’amore che ti dona uno sguardo e una parola di vita, l’amore che soffre per il solo desiderio di amarti e per il desiderio che tu ami la pienezza della tua vita!