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La testimonianza è semplice, un po' bizzarra, ma il problema è serio: questa persona non disdegna di dirsi credente ma non riesce a capire la simbolica dei riti accostata alle sue convinzioni personali.
La situazione è stimolante sotto diversi profili, non ultimo quello liturgico: cosa ne sa una bambina che disegna i polli con quattro zampe di “frutti della terra e del lavoro dell’uomo”?
Poiché non c'è identità senza forme rituali di affermazione, i tipi di giovani “distanti” dalla nostra liturgia “celebrano” la vita coi linguaggi più propri.
Gli studiosi del mondo giovanile hanno classificato nove tipologie di giovane contemporaneo, ciascuna con proprie forme di ritualità.
Oggi i cattolici non praticanti stanno praticamente scomparendo e la domanda circa i fattori di un’appartenenza ecclesiale diventa a tratti di difficile se non impossibile soluzione.
Nelle storie dei giovani, la spiritualità (per qualcuno la fede) è spesso un fatto privato e che non ha un linguaggio comune
Il non riconoscersi cattolici non significa non essere credenti, e l’essere cattolico non significa necessariamente riconoscersi nella dottrina della Chiesa.
Sono inoltre sempre di più i giovani che non disdegnano di dirsi cattolici, ma che non hanno più alcuna esperienza dei riti cristiani, nemmeno saltuaria.
Se confrontiamo la ricerca degli Oratori Lombardi col Rapporto Giovani, i praticanti saltuari sono in drastica riduzione: dal 35% (2012) al 20% (2017).
Anche i «non praticanti» (che non prendono mai parte a funzioni religiose, pur definendosi credenti) resta invariata (dal 12,5% al 12,8%), mentre calano vistosamente i «praticanti saltuari» (dal 42,1 al 35%).