16 luglio 2023 - VII Domenica dopo Pentecoste (A)

Omelie festive

Lc 13, 22-30


1. E' questione di libertà e responsabilità

Ci sono domande che nascono in noi dalla curiosità e che non trovano risposta da parte di Gesù.
Così, nel vangelo di oggi alla domanda: “Quelli che si salvano sono pochi o tanti?”
Gesù non risponde. Se rispondesse, fissando il numero dei salvati,
cancellerebbe il ruolo decisivo della libertà umana trasformando la vicenda umana
in un copione già scritto di cui saremmo le comparse o peggio i burattini.
La salvezza nasce dall’incontro, libero, tra l’iniziativa di Dio e la risposta umana.
Sappiamo che dalla parte di Dio vi è una volontà efficace di salvezza per tutti gli uomini,
nessuno escluso. Molti testi del Nuovo Testamento affermano che Cristo è morto per tutti.
Così Paolo: “L’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti” (2Cor 5,14).
E nella Lettera ai Romani afferma che “la grazia di Dio e il dono concesso in grazia
di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini” (5,15).
Ugualmente il pane di vita “è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Ancora Giovanni afferma che Gesù è “il salvatore del mondo” (4,42) e ci ricorda
che la volontà del Padre che Gesù è venuto a compiere è: “niente vada perduto”.
Secondo Marco il vangelo deve essere annunciato “ad ogni creatura” (16,15).
Nessuno è quindi escluso, ma la salvezza proprio perché è proposta alla libertà
può incontrare il rifiuto come ci ricorda la parabola di Ap 3,20:
“Ecco io sto alla porta e busso, se uno mi apre entrerò…”.
Da parte di Dio c’è questa irrevocabile decisione di volgersi a noi,
bussando alla nostra porta, chiedendo d’essere accolto.
Ma la porta potrebbe restare chiusa e vanficare il desiderio di Dio di esser nostro ospite.
Ecco perché la domanda: “Quanti si salvano?” non può avere risposta,
la risposta è infatti scritta nella coscienza di ogni uomo che liberamente accoglie o rifiuta.
Ma l’appello è per tutti, per quanti cercano, nel segreto della loro coscienza, le vie del bene.

2. La metafora della porta

Nella nostra esperienza quotidiana la porta stabilisce il confine tra l’interiorità della casa e l’esteriorità:
la porta si spalanca per accogliere e introdurre nell’intimità della casa,
ma può anche rimanere chiusa per escludere dal calore della relazione familiare.
Non diciamo forse: mettere alla porta per indicare l’esclusione, l’allontanamento?
E uscire sbattendo la porta non è sinonimo di ostilità, inimicizia?
Invece attendiamo sulla porta e accompagniamo alla porta chi ci è familiare ed è accolto in casa.
Non senza ragione l’antico precetto ebraico raccomandava di porre sugli stipiti della porta di casa
una piccola custodia che contenesse qualche Parola delle Scritture sacre.
Possiamo così capire la parola di Gesù che due volte afferma: ”Io sono la porta” (Gv10, 7.9).
E aggiunge: “Se uno entra attraverso di me sarà salvato” (ivi).

3. E' in gioco la fede

Entrare per la porta, come dice il vangelo, vuol dire riconoscere Gesù, credere in lui.
Negli Atti si dice di Dio che apre ai pagani la porta della fede (14,27).
E chi, credendo in Gesù, entra per quella porta che è Lui stesso, la fede nella sua persona,
viene introdotto nell’intimità della vita di Dio.
Quando l’anonimato del pianerottolo viene rischiarato da una porta che si apre,
la casa si offre al nostro sguardo col suo calore; così quando accogliamo Gesù e la sua Parola
si dischiude per noi l’accesso al mistero di Dio, siamo accolti nella sua familiarità. 
 

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