Mons. Carlo Redaelli
Lo stemma di mons. Carlo Redaelli, Arcivescovo Metropolita di Gorizia, riprende alcuni elementi tradizionali dell’araldica ecclesiastica con una libera interpretazione attenta alla sensibilità attuale. Lo scudo al centro riproduce la “Gerusalemme celeste”, descritta nel libro dell’Apocalisse. La scelta dell’immagine è determinata dal motto episcopale che nella sua interezza riprende il versetto di Ap. 21, 9: “Vieni,ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello”.
Si tratta della frase rivolta dall’angelo all’evangelista Giovanni quando si apre la visione conclusiva dell’Apocalisse. Il testo prosegue identificando la “sposa dell’agnello” nella città santa, “Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte”. (Ap. 21,10-11)
Giovanni prosegue la descrizione osservando: “La piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello” (Ap 21,21-23).
Lo scudo riprende tutti questi elementi (le porte, la piazza d’oro, l’Agnello al centro della città) e aggiunge la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco ed ebraico in coerenza con la presentazione che il Signore fa di sé manifestandosi a Giovanni: “Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine” (Ap 22, 13).
Ai piedi dell’immagine, lo scudo riporta il motto in latino in forma abbreviata: “ostendam sponsam agni”. La scelta del motto che lo scudo manifesta in forma plastica è dovuta all’intuizione che al vescovo, forse più che ad altri, è data la grazia divedere l’azione dello Spirito Santo che sta preparando la Chiesa a essere la Sposa dell’Agnello, il Signore Gesù, pur in mezzo alle contraddizioni e ai drammi di questo mondo (perché non siamo ancora nel Regno…).
Il vescovo, infatti, non cessa mai di essere nel popolo di Dio e quindi dalla parte della “Sposa”, ma ha insieme la grazia di essere anche dalla parte dello “Sposo”, partecipando al ministero che Cristo, Pastore eterno, ha affidato agli apostoli e ai loro successori.
Qual è la missione di Gorizia? Su cosa può e deve puntare? Ecco la risposta dell’Arcivescovo: «Mi pare evidente: valorizzare e mettere a frutto quel patrimonio di storia, di arte, di culture, di lingue, di bellezze naturali, di prodotti della terra, di cibo, di operosità, di senso civico, di tranquillità che la caratterizzano e la rendono speciale.
Il tutto da attuare con realismo e senso del limite, ma anche con convinzione, con inventiva, con determinazione e comunque con la saggezza di non disperderlo, se oggi non si è in grado di fare molto, in modo da conservarlo per tempi migliori».