Mons. Luca Raimondi
Capita anche a chi viene chiamato all’episcopato di definire questa nomina
come ‘un fulmine a ciel sereno’. «Non trovo un’altra immagine che quella di un
fatto assolutamente inaspettato», dice il neovescovo, il più giovane - coi suoi 54
anni, non ancora compiuti - della Diocesi.
Accanto a questa momentanea emozione, espressione di una forte incredulità, è
sopravvenuta nei giorni successivi una specie di vergogna positiva, per la coscienza
delle proprie mancanze e dei propri limiti: «C’è una grande distanza tra ciò che mi è
stato offerto e la mia povertà e inadeguatezza. Ma questo senso di vergogna mi fa star
bene con me stesso rendendomi sereno, anche di fronte a grandi responsabilità».
Infatti il compito che attende il vescovo è espresso nello stemma dove nel ‘campo’
dello scudo c’è un’immagine che richiama la lavanda dei piedi (Giov 13): due mani,
una che versa l’acqua da una brocca e l’altra che regge un asciugatoio e sotto un bacile.
L’incarico che lo attende è quello di «continuare a fare il vicario di una zona
bellissima, popolata da bravi preti, da gente non solo laboriosa, ma intellettualmente e culturalmente preparata e convinta, una zona ricca di un mondo e di un popolo
cristiano attenti e partecipi alla vita della Chiesa e della comunità. Nel ministero
di un vescovo ausiliare si aggiunge, tuttavia, la partecipazione alla Conferenza episcopale italiana e alla Conferenza episcopale lombarda. Vivrò questa nuova strada
che si è aperta nel mio ministero come una scuola di vita. Imparerò nuove cose, di
cui cercherò di fare tesoro, per riportarle nel mio ruolo, accanto all’Arcivescovo e ai
confratelli nell’episcopato».
Nel ‘capo’ dello scudo campeggiano tre fiamme dorate: le tre virtù teologali (la
fede, la speranza, la carità) su cui si incentra la vita del credente e del vescovo, chiamato a porre su questi tre pilastri del nostro credo il nuovo mandato pastorale, in comunione col presbiterio locale ma anche con l’episcopato nazionale, insieme al Papa.
«L’entrare a far parte della Cel e dell’insieme dei vescovi del nostro Paese mi
permetterà di fruire di un’occasione importantissima e unica. Il mio sguardo sarà a
360 gradi, a partire dalla mia Zona IV – che dopo Milano è, comunque, la più popolosa della Diocesi – fino ad arrivare alla Chiesa ambrosiana con le sue articolate
e complesse sfaccettature».
Per il proprio ‘motto’ episcopale si è ispirato alle parole tratte dalla lettera ai
Filippesi, con le quali san Paolo esorta la gente di Filippi a rallegrarsi sempre nel
Signore (Fil 4,4). Per dire che la gioia del credente in Cristo è nel Signore: noi siamo lieti sempre, perché sappiamo di appartenere a lui. Per questo la nostra gioia è
continua, costante, contagiosa, tanto affabile e profonda da resistere alle contraddizioni e alle prove della vita. Essa sgorga dalla pace e alla pace tende, perché viene da
Gesù e a lui tende; per questo “sorpassa ogni conoscenza” ed è “pace che il mondo
irride, / ma che rapir non può” (Manzoni, La pentecoste).