Giovanni 11,1-53
1. Il nostro è il Dio dei vivi
Il tema trasversale alle tre letture odierne è la vita.
E’ il piccolo ‘credo’, una vera professione di fede di Israele ad aprire la liturgia della Parola.
Il pio ebreo fa memoria di quanto Dio ha fatto per il suo popolo,
da Abramo fino alla conquista della terra di Canaan denominata poi Israele.
Questo credo ha come articoli di fede interventi concreti di Dio, fino alla liberazione dall’Egitto:
la Pasqua ebraica, ancora oggi celebrata dagli ebrei in tutto il mondo.
Ad essi Dio chiede solo di fare memoria dell’evento e gratitudine, che si esprime
nell’osservanza dei suoi comandamenti. Essi hanno il compito (e questo vale anche per noi)
di mantenere il popolo e il singolo fedele, libero dalla schiavitù della mondanità,
dell’abbandonarsi alla materialità del vivere, nell’illusione che ciò produca vita.
2. Il “segno” della risurrezione di Lazzaro
Siamo al VII segno (miracoli, per gli altri Evangelisti) della prima parte del Vangelo di Giovanni.
L’inizio dei segni fu a Cana, dove Gesù manifestò (epifania) la sua volontà di dare la sua vita
perché noi l’avessimo ‘in abbondanza’
(da una vita insapore: l’acqua, ad una vita eterna spumeggiante di gioia, il vino).
Con la resurrezione di Lazzaro (meglio dire rivivificazione), siamo di fronte ad un duplice
segno pasquale: l’episodio anticipa la futura sepoltura (segno che è veramente morto)
e resurrezione di Gesù, ma è anche anticipazione del destino di tutti i credenti in lui.
Gesù aveva detto; “I morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno.
Attorno alla malattia e poi alla morte di Lazzaro si sviluppano due dialoghi:
quello di Gesù con i discepoli e quello di Gesù con le sorelle di Lazzaro.
Il primo inizia con lo strano atteggiamento di Gesù di fronte alla malattia di Lazzaro,
il secondo dalla fede di Marta e Maria.
Il gesto di Gesù gli costerà la vita, poiché provocherà la decisione del sinedrio di eliminarlo (v. 53),
nel contempo svela il significato profondo della morte di Gesù: dare la vita per noi.
Nel primo dialogo, quello con i discepoli Gesù svela che la malattia di Lazzaro non è mortale.
Ma che cosa significa? La malattia di Lazzaro è destinata a diventare
luogo di rivelazione della vittoria di Cristo sulla morte e dei suoi amici con lui.
Eppure Lazzaro è morto. Sì ma solo biologicamente, non per l’eternità.
Questo è il dono della Pasqua di Gesù.
I discepoli faticano a capire, come anche noi del resto.
Perché se Dio ama il Figlio lo consegna ad un destino di sofferenza e di morte?
Lo capiremo al venerdì santo. Gesù soffre e piange per la morte dell’amico,
ma legge nella morte la possibilità di un riscatto, di redenzione e resurrezione,
per questo chiama la morte sonno (vv. 4.11), cioè parola non definitiva su di noi.
Ecco il secondo dialogo. Il cerimoniale per consolare i parenti durava sette giorni.
Marta corre incontro a Gesù, Maria affranta dal dolore resta seduta in casa.
Entrambe le sorelle fanno leva sull’amore che Gesù ha per loro e amano Gesù
nonostante l’apparente abbandono.
Gesù aiuta le sorelle a rendere cristiana la loro visione sulla morte,
e questo lo chiede anche a noi. Egli si proclama ‘resurrezione e vita’.
Già sin d’ora chi crede in lui è vivo. In Cristo la vita non è annientata dalla morte,
ma anzi si serve addirittura di essa.
Resta come sospesa per tutti i tempi una domanda di Gesù, che raggiunge anche ciascuno di noi:
“chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?”.
Solo vivendo in Gesù è possibile credere.
Una vita vissuta su altri lidi non potrà mai produrre fede in lui e dunque vita eterna.