Luca 19,1-10
1. La pazienza di Dio e la nostra
Apre la liturgia della Parola un testo sapienziale: il Libro del Siracide
con tre caratteristiche di cui Dio abbonda: la pazienza, la misericordia e il perdono.
La prima, Dio è paziente (makrothýmos), il quale, come dice il profeta Ezechiele,
“non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 33,11).
La Croce di Gesù è il vertice della pazienza di Dio. Il teologo protestante Eberhard Juengel
scriveva che la pazienza di Dio è “il lungo respiro della sua passione”, come ricorda Siracide,
non solo per chi gli è più vicino (come facciamo noi), ma per ‘ogni essere vivente’.
Per noi la pazienza deve diventare fede che perdura nel tempo, cioè perseveranza
sostenuta dalla capacità di guardare e sentire in grande, come suggerisce l’etimo greco.
La pazienza ci porta a riconoscere la nostra incompiutezza, dunque diventa pazienza verso noi stessi;
essa riconosce la fragilità delle relazioni con gli altri, dunque diviene capacità di non disperare,
di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà,
diviene perseveranza, capacità di rimanere e durare nel tempo senza snaturare la propria verità.
La pazienza è dono da invocare dallo Spirito Santo (Lettera i Galati 5,22).
Da ultimo, la pazienza diviene anche capacità di sup-portare gli altri, sostenerli con la loro storia.
2. La misericordia
Circa la misericordia molto abbiamo già argomentato:
essa è istinto buono verso le altrui miserie,
ma anche creatività generatrice d’istituzioni che tengano profeticamente viva
l’attenzione agli ultimi della terra.
Anch’essa è primariamente dote divina, che in ogni messa invochiamo
chiedendo che le viscere materne di Dio si contraggano di compassione per noi (Kyrie eleison).
3. Il perdono
La terza caratteristica è il perdono, lungo e faticoso cammino,
non scevro da forte sofferenza personale
per accoglierlo (fatichiamo spesso a perdonarci) e per donarlo.
Circa il perdono a se stessi per atti compiuti, è bene sapere che agli occhi di Dio
nulla è imperdonabile dopo un sincero pentimento.
Più difficile pacificare la nostra psiche, i suoi ricordi
che, malignamente, lacerano la quiete dei nostri pensieri.
Un primo passo ce lo suggerisce il brano di Luca sulla conversione di Zaccheo, quando Gesù
lo chiama e va da lui, con un gesto che potremmo definire socialmente “sconsiderato”.
Zaccheo è costretto a salire su un albero non semplicemente perché basso di statura,
ma anche perché nessuno lo avrebbe fatto salire al piano superiore della propria casa.
Era un reietto. Proprio a lui Gesù si rivolge.
Chiarito questo, se noi vogliamo avviare il cammino arduo di recuperare la nostra immagine
ai nostri stessi occhi, è necessario partire da gesti forti, segnali di riparazione del male fatto.
Zaccheo dice a Gesù: “Ecco, Signore io do la metà di ciò che possiedo ai poveri
e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.
Zaccheo, come ricorda Gesù, si era perduto, ora, grazie a Lui, si è ritrovato,
ha imparato ad accettarsi con tutte le sue ferite,
a fare i conti con il suo passato, avendo però davanti un futuro luminoso: la salvezza.
Questo dono è possibile anche per ognuno di noi.