Nel mondo culturale greco-romano 'eros' era il termine più diffuso per dire 'amore' ed esprimeva il desiderio, la passione e l'attrazione verso l'altro/a. Non c'è amore che non nasca dal desiderio. Infatti l'amore appassionato di Gesù è pieno di 'eros' per noi e lo stesso sentivano i primi cristiani..

Un termine più adeguato poteva essere 'philìa', che esprime l'affetto che lega tra loro gli amici (Giovanni lo usa per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli).

Viene però scelto il termine 'agape' – tradotto nelle Bibbie con 'carità' - . Un vocabolo nuovo per una realtà nuova, l'Amore di Dio Padre nel Figlio Gesù che ha dato la sua vita per noi. Un amore oblativo rivelato nella sua pienezza dalla Pasqua di Cristo e che esprime tutto il 'loro' desiderio e rivela tutto il 'nostro' desiderio. Con questa parola nell'inno alla carità non si esprime un concetto, ma il dinamismo del vissuto dei primi credenti e insieme il 'rendimento di grazie e di lode' per il dono ricevuto in Cristo.

L'apostolo è ora interessato alla costituzione della Chiesa come corpo strutturato da Dio. In rapporto con il discorso precedente sulle relazioni tra corpo e membra, Paolo chiarisce che i carismi (qui i 'miracoli') sono subordinati ai ministeri ecclesiastici e, in primis, all'autorità apostolica.

Più in generale, i doni spirituali non si devono esercitare in modo autonomo, ma sempre dentro una disposizione ecclesiale che è attribuita a un'azione divina in ordine al bene e alla crescita della comunità.

Con le domande retoriche che suggeriscono risposte negative (..29-30) Paolo invita i Corinzi ad accettare la diversificazione delle 'posizioni' nelle comunità, contro ogni complesso di inferiorità/superiorità, che accendeva rivalità.

Ciò che non manca a nessuno è “la via più sublime”, l'agape, senza la quale i ministeri e i carismi non valgono niente!

Mettiamoci in ascolto