Giovanni 10,22-30
1. Un cantiere continuo...
Iniziato verso la fine del 1300, l’altare venne consacrato da Papa Martino V nel 1418.
Il Duomo sin dall’inizio resta un cantiere continuo.
Questo è anche un simbolo della Chiesa, sempre chiamata a rinnovarsi, a restaurarsi,
a curare le sue ferite, un po’ come ciascuno di noi: nella vita siamo sempre in cantiere,
sia perché la nostra identità è realtà dinamica (scopriamo sempre cose nuove di noi),
sia perché il nostro corpo richiede grandi attenzioni.
Perché ricordiamo il Duomo (da Domus, casa) in tutta la Diocesi?
Perché è la Cattedrale, cioè il luogo dove sta la cattedra del Vescovo,
posto a capo della Chiesa milanese. Egli da quel luogo, su quella cattedra,
continua ad insegnarci la retta tradizione degli Apostoli che conobbero Gesù;
come un saggio amministratore, cura che non manchi la carità fraterna
e verso i poveri nelle 1100 Parrocchie dell’Arcidiocesi.
2. Una chiesa viva...
Lì ordina i presbiteri che lo rappresentano nelle varie comunità parrocchiali
e consacra gli olii per i Sacramenti.
Non dimentichiamo poi che, in fondo, il Duomo di Milano e la Madonnina posta sulla guglia più alta
sono il simbolo più amato della Città.
Nella nostra Cattedrale riposano tanti Arcivescovi santi e altri esemplari
come il Beato Card. Schuster, i Cardinali Colombo, Martini, Tettamanzi, per citare i più recenti.
Nel Duomo conserviamo tre luoghi preziosi:
il battistero di San Giovanni alle Fonti dove Ambrogio battezzò Agostino,
il corpo del grande Vescovo riformatore San Carlo Borromeo
e il Santo Chiodo della crocifissione di Gesù.
Ogni giovedì santo tutti noi presbiteri dell’Arcidiocesi ci raduniamo al mattino per la Messa crismale
(consacrazione egli Olii santi) e rinnoviamo le nostre promesse presbiterali
nelle mani dell’Arcivescovo in carica.
3. Festa di popolo: pastore e gregge
L'ascolto è apertura e disponibilità verso l'altro, l'ascolto è relazione attiva e consapevole.
Nella chiesa i fedeli hanno orecchie attente e capaci di ascolto.
Seguono, ma dopo aver ascoltato: la fede, la vita cristiana non è gesto conformista,
dettato dall'abitudine, ma è scelta consapevole che nasce dall'apertura dell'intelligenza
e della volontà che ascoltano per seguire. Le pecore fanno uso dell'intelligenza ricevuta.
A sua volta il pastore conosce e dà la vita alle pecore. Siamo conosciuti dal pastore;
in un altro testo si dice che il pastore chiama per nome le sue pecore, ad una ad una:
di nuovo non un gregge dove ogni individualità si cancella: siamo noti gli uni agli altri.
E sappiamo che questo verbo evoca una relazione intrisa di amore e dedizione, fino a dare la vita.
Infine un ultimo verbo dice l'irrevocabile tenacia di questa appartenenza:
nessuno strapperà le pecore dalla mano del pastore. Siamo nelle sue mani, siamo in buone mani.
Alla luce di questi verbi ripensiamo alla nostra appartenenza alla Chiesa,
una appartenenza che per molti è problematica, difficile:
si sta nella Chiesa solo perché conosciuti e amati perdutamente dal Pastore,
l'unico grande Pastore che è Gesù.
E ci si sta con l'apertura vigile, intelligente dell'ascolto e della sequela.
Nonostante tutto è bello stare nella Chiesa.