Matteo 20,1-16
1. Dio fonte di unità e di speranza
Nella prima lettura (Is 45,20-24) Isaia invita il popolo che ritorna dall’esilio babilonese (538 a.C.)
a radunarsi, stare insieme nella fede nel Dio giusto e salvatore.
Egli è la fonte dell’unità e la speranza del suo popolo.
Questo invito vale anche per noi in questi “giorni cattivi” (cfr Ef 4),
in cui molti danno una lettura intramondana del proprio destino:
mantenersi in salute, perché non c’è alcuna salvezza oltre la morte.
Non che l’attenzione ad una vita in salute non meriti le nostre attenzioni,
ma la caducità dell’uomo la dimensione effimera, passeggera della sua vita,
certamente non fanno della salute l’elemento risolutivo.
Ecco perché anche noi, come comunità cristiana dobbiamo cogliere tutte le occasioni
che ci vengono offerte per essere uniti, per formare, celebrare, testimoniare la nostra fede,
pena il perderla o ridurla ad una vaga forma di spiritualità.
Diceva lo scrittore inglese Chesterton che “chi non crede in Dio,
non è vero che non crede in niente, finirà per credere a tutto”.
2. Il Signore chiama tutti, a tutte le ore
Il Vangelo ci pone di fronte la parabola “dell’undicesima ora” (le cinque del pomeriggio - Mt 20,1-16).
In Palestina il lavoro era di dodici ore dall’alba al tramonto.
Il Padrone della vigna (Dio) fa cinque chiamate in orari diversi,
promettendo ai primi la paga di un denaro e il giusto agli ultimi chiamati.
La paga è il Regno dei cieli. Tutti possono accedervi nei vari momenti della loro esistenza.
Molti hanno perduto la fede lungo il cammino della vita,
nessuno li ha aiutati a ritrovarne le motivazioni (“non ci ha chiamati nessuno”),
ora tardivamente incontrano Dio e lo seguono con lo stesso zelo dei primi.
Il Signore chiama a tutte le ore tutti, nessuno escluso,
il criterio divino non è quello della giustizia salariale retributiva,
ma la misericordia, l’accoglienza di un cuore contrito, di vite spezzate, di fedi perdute,
che ora vedono la luce della grazia di Dio.
3. Il premio della vita è Cristo
Il messaggio da raccogliere è questo: rinunciare ad essere grandi per diventare piccoli, accettare
che l'ultimo riceva quanto il primo. Il Regno è un dono gratuito, una grazia da accogliere.
Spontaneamente siamo tentati anche noi di mormorare contro il Signore della vigna,
perché il suo modo di agire mette a soqquadro i nostri criteri
di valutazione, di retribuzione equa, di giustizia sociale, di merito.
Ma trasferendo le nostre misure sul piano della salvezza, noi poniamo il problema in modo sbagliato:
essere ingaggiati nella vigna del Signore, essere chiamati al Regno
è una grazia, un onore, una gioia, una fortuna.
E se Dio chiama tutti e a tutte le ore e accorda il medesimo dono straordinario e gratuito
che è la salvezza, ciò deve farci straordinariamente felici,
anche perché, erroneamente, tutti riteniamo di essere operai della prima ora
che reclamano la salvezza come un diritto, mentre in realtà ci viene concessa come dono.
Dio si riserva la libertà dalla scelta per grazia, che abbatte la presunzione umana.
A imitazione di Dio, i "primi" sono invitati
a guardare agli "ultimi" con bontà e non con cuore cattivo.
L'amore di Dio raggiunge tutti gli uomini e non fa differenze.
Il salario è sempre lo stesso e non può essere diviso
perché il premio della vita è Gesù Cristo