Parole col cuore
Ad una celebrazione del Papa si avvicina al settore autorità un tipo spocchioso (superbo, tronfio, arrogante, presuntuoso) che sbotta contro l’addetto che lo ferma alla transenna. il tipico “Lei non sa chi sono io!”. Il gentiluomo vaticano con voce sommessa e “aplomb” squisita allora ribatte: “È esattamente il suo problema, perché se io sapessi chi è lei, l’avrei già accompagnata al suo posto”.
È una pagina divina antispocchia. C’è bisogno di renderci conto che non tutto ci è dovuto... di superare l’aspettare sempre qualcosa in cambio... di recuperare la buona educazione di dire grazie... di ritrovare la spontaneità del fare per nulla... di accorgerci che gli altri possono arricchirci.. di credere in Dio e sentirci meno padrieterni.
“L’antispocchia” è il titolo di un libro di Fulvio Scaparro. Una raccolta di aneddoti per difendersi dalla pesantezza degli arroganti, quindi molto spesso da se stessi.
Secondo i suoi studi di psicoterapia, sono tre le regole d’oro: pensare agli altri insieme a se stessi (non solo a se stessi, ma neanche solo agli altri), trovarsi al posto giusto quando siamo necessari e sapersi mettere da parte quando invece non lo siamo.
Gesù ci era arrivato 2.000 anni prima, con la parabola in cui non suggerisce note di galateo o furbizia sul “posto giusto”, ma vuole destabilizzare il nostro vizio del sentirci “a posto”.
Piccole bassezze quotidiane sono tanti tipi di spocchiosità: furbizie, file saltate, posti non ceduti, divieti aggirati, prepotenze, invidie, intolleranze, abusi, giudizi, pettegolezzi, rivendicazioni, pretese, cafonerie, ruffianerie, burinaggini. Pian piano questo causa un 'self-mobbing', un farsi del male che avvelena di infelicità.
Il peggio è che alle pessime maniere ci stiamo abituando. Non ne abbiamo più vergogna. Non ci danno più fastidio. Gesù ci scuote: “C’è qualcosa di più degno! Spostati!”. Per un cristiano, le buone maniere sono la traduzione del Vangelo in un comportamento personale e sociale.
Questo ci fa guardare con intensità e schiettezza, allora, al nostro essere fuori posto. Così ci ritroviamo poveri perché sciacquiamo tante occasioni di bene, storpi perché rattrappiti nelle nostre contorte idee fisse, zoppi perché ci sono le solite trappole in cui cadiamo, ciechi perché preferiamo essere complici delle ombre.
L’esistenza, come il Vangelo, è una lunga lezione di umiltà. Attenzione! Se io mi scopro povero, storpio, zoppo, cieco... allora sono proprio per me quelle tre parole: “Vai più avanti!”.
Sono il ritmo di una vita realizzata: vai più avanti! Sono la forza per risolvere i problemi: vai più avanti! Sono il motore di tante storie: vai più avanti! Vai più avanti! Vai oltre! Spingiti più in su! Cosa aspetti?