16 giugno 2024 - IV Domenica dopo Pentecoste

Omelie festive

Matteo 22, 1-14


1. Solo chi crede si salva

La prima lettura presenta un episodio drammatico a tutti noto, per i riferimenti a Sodoma e Gomorra
nella cinematografia e nella letteratura, che indicano città corrotte dal fenomeno mafioso.
In realtà l’episodio allude a un grido idolatrico che condanna i culti della fertilità praticati dagli
indigeni cananei, dove si alternavano sacerdoti e sacerdotesse sacre nella prostituzione rituale.
C’è inoltre la ferma condanna per la violazione della legge dell’ospitalità,
praticata in tutti gli ambiti mediorientali e dunque inviolabile.
La geologia fragile di quei territori ha permesso all’autore di rileggere la distruzione delle città
come una punizione divina scesa dal cielo.
La moglie di Lot divenuta di sale per aver infranto il divieto di girarsi a guardare il castigo divino,
dice che la nostalgia per il peccato ed ogni forma di male e corruzione
conserva la persona in uno stato negativo, come il sale conserva il cibo.
Sarà dunque Dio a donarci la vita senza fine in Cristo, non pratiche umane e riti magici, non sforzi
tecnologici per implementare la vita umana fino a farci diventare dei cyborg (uomini-macchina).

2. Siamo tutti invitati alle nozze!

E la vita, questa vita, non è che il tempo per preparare l'abito nuziale. Se fossimo sicuri di questo,
la vita cambierebbe: avremmo uno scopo, una gioia che ci attende, un desiderio che si fa strada.
Grazie alle nostre brevi nozze terrene, facciamo esperienza che il tempo della preparazione alle nozze
è un tempo di marca diversa da tutti gli altri: lo è per gli invitati che pensano a come
si presenteranno e al regalo, lo è per i parenti stretti, lo è per i diretti interessati, sposa e sposo.
Da quando le nozze sono state decise, tutto ciò che fanno converge al banchetto che deve essere
ricco, abbondante, creare l'atmosfera perché la festa sia grande e indimenticabile.
Il re della parabola di Matteo non invita a una cerimonia religiosa o una serie di obblighi:
invita a un banchetto dove ci sono cibo in abbondanza, vino, gioia e allegria;
e noi sappiamo quanto nelle culture antiche, povere di beni, un banchetto rappresentasse
lo straordinario, la sospensione da ogni ristrettezza, poiché finalmente c'era l'abbondanza.
Di più; questo è un banchetto di nozze, ha cioè uno scopo preciso: celebrare un matrimonio
tra il Figlio (per la comunità matteana lo sposo è Gesù!) e chi? La sposa è l'umanità,
è la comunità, convocata gratuitamente e chiamata a sedere alla mensa, è ciascuno di noi.
Ma qui ci scontriamo con il mistero del rifiuto. C'è la prima grande serie di rifiuti
per gli invitati già nell'elenco (il popolo di Israele); poi arrivano i "fuori elenco" come noi.
Sono quelli trovati dai servi, "buoni e cattivi", cioè senza qualità speciali per essere invitati.
E fortunatamente, perché in quel "buoni e cattivi" nessuno può ritirarsi in una falsa umiltà:
"Perché proprio io? Non sono degno!", poiché l'unica indegnità è il rifiuto.
Un rifiuto plateale, quello dei primi, ma anche il rifiuto di quello che è lì senza l'abito nuziale.
Quello senza veste nuziale è lì quasi come sfida: crede forse di averne diritto,
dimentica di essere un "fuori elenco" e soprattutto che la vita chiedeva di essere vissuta
in vista delle nozze, come tempo per preparare l'abito nuziale. La famiglia che nasce dalle nozze
è oggi chiamata più che mai (e abilitata) a mostrare come sia vivere in vista delle nozze definitive!

3. È importante l'abito della festa

L’invitato senza vestito nuziale ricorda il praticante non credente, l’ipocrita, che vive una religiosità
di parole e invocazioni: dice “Signore, Signore”, ma di fatto non fa la volontà di Dio.
La sua vita è una vita buona, ma segnata da grande autoreferenzialità ed indifferenza verso gli altri.
E’ esoso nelle richieste a Dio, ma avaro nell’impegno verso la comunità cristiana,
nell’annuncio esplicito del Vangelo nei luoghi in cui vive.
Ha perso per strada il candore della veste bianca battesimale.
Vegliamo affinché non accada anche a noi, anche a me.
 

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