26 maggio 2024 - SS. Trinità

Omelie festive

Giovanni 15,24-27


1. Un Dio che è famiglia

Celebriamo la Solennità della SS. Trinità: una sostanza in tre persone.
È la festa di Dio stesso: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Quante volte abbiamo pronunciato queste parole segnandoci con il segno della croce.
L’ebreo Gesù, nel tempo della sua missione pubblica, ci ha meglio spiegato
quanto Israele proclamava circa Dio: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio,
unico è il Signore” (Libro del Deuteronomio 6,4).
Dio è sì unico, ma non solo e lontano da noi.
Gesù ci ha detto: mi manda il Padre e vi lascio lo Spirito Santo per la remissione dei peccati.
Questo volto di Dio è molto bello. Egli non è un monolite freddo e lontano,
un primo motore immobile che ha dato origine a tutto in modo distaccato,
come voleva il filosofo greco Aristotele, bensì un Dio famiglia, un Dio relazione d’amore.
Da questo amore siamo nati noi, fatti a sua immagine e somiglianza.
E noi diventiamo veramente come lui ci ha pensati, cioè creature felici.
Questo avviene quando ci relazioniamo con noi stessi e con gli atri
in modo virtuoso, non avido, presuntuoso e rapace.
Il Dio uno e trino è per noi una promessa di vita senza fine.
L’Adamo, che siamo noi, è chiamato ad essere promessa di vita buona
per tutti coloro che lo circondano, animali e terra compresa.
Allora quando facciamo il segno della croce, ricordiamoci che nonostante sia faticoso
essere ben disposti verso tutti, questo è ciò che Dio ci chiede,
pur nella franchezza di denunciare il male quando si affaccia all’orizzonte della nostra e altrui vita

2. La festa della Trinità è la festa del mio destino

Davanti alla Trinità, incamminato verso una meta, e senza un termine, io mi sento piccolo
e tuttavia abbracciato dal mistero. Piccoli ma abitato da un mistero, come un bambino:
abbracciato dentro un vento, un soffio in cui naviga l’intero creato e che ha nome 'comunione'.
Lo Spirito di Dio abita in voi. Dio mi abita. Come una mano che mi copre nel cavo della rupe.
Mi copre, mi protegge, e poi mi chiama fuori (Es 33,23). Io aderisco a questo Dio
che è là dove due o tre sono uniti in comunione, che è là dove i due diventano una carne sola.
Questo Dio è con Israele ma non è ebreo, questo Dio è con le Chiese ma non è solo cristiano,
è il Dio dell’universo, seme di eternità dentro i nostri giorni.
Così viviamo, nella ricchezza delle diversità e nella forza della comunione, incamminati
verso la nostra vocazione: verso un Padre che è la fonte, verso un Figlio che mi innamora,
verso uno Spirito che accende di comunione tutte le nostre solitudini.

3. Tocca a noi dire Dio a tutti

Dì loro ciò che il vento dice alle rocce, ciò che il mare dice alle montagne.
Dì loro che una bontà immensa penetra l’universo, dì loro che Dio non è quello che credono,
che è un vino di festa, un banchetto di condivisione in cui ciascuno dà e riceve.
Dì loro che Dio è Colui che suona il flauto nella luce piena del giorno,
si avvicina e scompare chiamandoci alle sorgenti.
Dì loro l’innocenza del suo volto, i suoi lineamenti, il suo sorriso.
Dì loro che Egli è il tuo spazio e la tua notte, la tua ferita e la tua gioia.
Ma dì loro, anche, che Egli non è ciò che tu dici e che tu non sai nulla di Lui.
Eppure ti fidi e lo preghi, lo cerchi nel nome di ogni creatura
e soprattutto nel nome di Colui che è Figlio, il Nazzareno che ha saputo amare come nessuno,
nel nome di Colui che è Spirito, vento sugli abissi, che ancora riaccende la vita,
e lo farà per i secoli dei secoli. Amen 
 

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