Parole col cuore
Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Si aspettava invenzioni di ruote, macine di pietra, strumenti di ferro, scritture o pitture rupestri. Invece rispose: un femore rotto e poi guarito.
E spiegò che nel regno animale se ci si rompe una gamba, si muore: non si ha cibo o da bere e si è preda, non potendo scappare. Nessun animale sopravvive abbastanza per far guarire un osso a meno che qualcuno si prenda cura di lui. Un femore guarito è la prova che qualcuno ha donato tempo, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro, lo ha nutrito, accudito e aiutato a riprendersi e rialzarsi. Mead concluse: “Prendersi cura è il punto d'inizio della civiltà. Essere civili è questo: noi esprimiamo il nostro meglio prendendoci cura degli altri”.
A Cana qualcosa si rompe e il matrimonio si azzoppa. Gesù non risolve il problema, ma aziona la cultura della cura, infatti il miracolo non lo fa lui, ma quelli che si prendono cura, i servitori, che lui stimola ad investire in premura, coraggio, attenzione, fiducia, andando contro tutte le apparenze, i pregiudizi, la rassegnazione: “prendete l’acqua e versate”.
Il primo “segno” di Gesù non è sanare da qualche malattia, o liberare da demoni di male, ma è prendersi cura, prendersi la responsabilità del bene, perché ognuno faccia bene, riceva il bene, stia bene. Quando affronti una malattia con una terapia puoi vincere o perdere, invece quando ti prendi cura di una persona vinci sempre.
La cultura della cura però non è facile e non ci è spontanea. Ha scritto Alexander Langer: “Sinora si è agito all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà. Se non si radica una concezione alternativa che si può sintetizzare in lentius, profundius, suavius (più lento, più profondo, più dolce) e se non si cerca in quella prospettiva il nuovo benessere, nessun singolo provvedimento, per quanto razionale, sarà al riparo dall’essere osteggiato, eluso o disatteso”. La nostra società fa acqua da ogni parte e oggi si trova spesso azzoppata da qualcosa, che sembra aver interrotto la festa, come nelle nozze di Cana.
Il prendersi cura attenta, la pazienza nell’affrontare le crisi, la premura, la cortesia, è un vero miracolo! Agire in modo più lento, profondo e dolce aiuta a fare bene, fare il bene, stare bene, e far star bene. È il grande potere della cultura della cura. Alla fine il complimento va allo sposo (e ai camerieri): “Hai avuto cura del buono fino alla fine, quando invece tutti cercano di abbassare il livello diluendo la densità e rassegnandosi alla mediocrità”. Eppure essere civili è questo: il nostro meglio è prenderci cura gli uni degli altri.