Matteo 11,16-24
1. Perché apatia, indifferenza, lamentosità?
“A chi paragonerò questa generazione?
È simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni”.
Il paragone con cui si apre il brano vangelico è immensamente suggestivo.
Gesù usa l’immagine dei bambini che vincendo ogni ritrosia non sanno più che inventarsi
per far alzare i loro amici a fare qualcosa insieme.
Infatti tutti sappiamo quanto sia incontenibile la voglia dei bambini di giocare,
e sono disposti anche a rinunciare ai giochi preferiti pur di fare qualcosa, pur di giocare.
Ma delle volte sperimentano la grande frustrazione di trovarsi vicino ad amici
che non si riescono a coinvolgere in nulla. Né con la gioia, né con il dolore.
Gesù dice che potenzialmente siamo noi questi compagni che non si lasciano coinvolgere
né nelle cose belle, né in quelle brutte. E in questa apatia, e indifferenza
è difficile far nascere l’attesa di qualcosa di grande.
In fin dei conti il Messia è l’Atteso delle genti. Ma che senso può avere un Atteso
se non è atteso da nessuno? E come è possibile vivere senza attese?
È possibile quando siamo completamente ripiegati su noi stessi, e pur di non cambiare
questa posizione di ripiego, parliamo male di tutto e del contrario di tutto:
“Difatti è venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "Ha un demonio!".
È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve,
e dicono: "Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!"”.
Sarebbe interessante a questo avere il coraggio
di analizzare le nostre lamentele e il nostro parlar male.
E se esso non fosse nient’altro che la testimonianza che pur di non metterci in gioco
noi ci diciamo che non va bene tutto quello che abbiamo davanti?
Non è forse vero che chi si lamenta sempre o chi giudica sempre
ha innanzitutto un problema irrisolto dentro di sé che lo spinge a dire e fare cosi?
Prepararsi alla venuta di Cristo significa lasciare le lamentele e riscoprire le nostre attese.
È smettere di parlare male e mettersi a cercare un Bene nonostante tutto.
2. Quanta durezza, ostilità, piccineria!
Il dolore di Gesù deborda. Non si aspettava quel tipo di reazione ai suoi discorsi...
Venuto per annunciare la rivoluzione di Dio, la buona notizia della sua compagnia,
si ritrova a dover fare i conti con l'indifferenza,
con la presunzione di chi pensa di sapere già tutto,
di essere salvo, di non avere bisogno di conversione.
Soffre, il Signore, soffre terribilmente.
E sbotta: come è possibile che la presunzione possa allontanare dalla salvezza?
Le città pagane che nella Bibbia sono diventate l'emblema della perdizione verranno salvate,
diversamente dalle città sante che si crogiolano nella loro sicumera.
Oggi, Gesù, cosa direbbe delle nostre chiese cristiane?
Delle nostre comunità sedute e arrivate,
che vivono con insofferenza ogni cambiamento, ogni forte invito alla conversione?
Cosa direbbe delle nostre parrocchie che rischiano di ridursi ad agenzie di servizi religiosi?
Delle nostre convinzioni inossidabili che, in realtà,
sono un incrocio fra superstizioni e modi di dire tradizionali?
Stiamo attenti, discepoli del Signore, a non ricevere lo stesso rimprovero,
a non fare della nostra fede un comodo cuscino su cui sedersi!