8 settembre 2024 - II Domenica dopo il Martirio

Omelie festive

Giovanni 5,37-47


1. Gli idoli al posto di Dio

Quali gli elementi su cui riflettere alla luce della Parola di oggi
che sembra più rivolta al popolo ebraico del tempo di Isaia e di Gesù che a noi. In realtà non è così.
Israele ha subito gravi prove: invasioni, dominazioni straniere, esilio, divisioni interne. Quanto dolore.
Il pensiero di Isaia torna al passato: la liberazione, il deserto, l’arrivo alla terra, il tempio.
Lo sguardo del profeta cade poi sul presente: l’agire del popolo ha due grandi difetti.
Il cuore è indurito, una sorta di cinismo, di scoramento lede la coscienza dei singoli e la speranza cade.
Il peggio del cuore umano emerge. Questo è dovuto alla perdita del timore di Dio,
cioè non si dà più a lui il posto che gli spetta, viene messo da parte come un panno liso.
Utilitarismo, materialismo, idolatria avanzano e lo spirito di Dio si rattrista.
Egli è Padre e Redentore (figura che nel diritto familiare ebraico riscattava i parenti
caduti in miseria a causa della morte del capo famiglia).
Ecco ergersi la bellissima invocazione: niente vendetta, niente castighi;
il profeta si appella a Dio chiedendogli di ritornare per amore, solo per amore.

2. Ricerca della gloria umana

In qualche modo Gesù, nel Vangelo, riprende il lamento di Isaia,
citando il nostro rapporto con le Scritture. Noi le ascoltiamo ogni domenica:
esse hanno lo scopo di condurci a lui, Parola vivente di Dio,
ma “questa virtuosa cinghia di trasmissione” spesso si interrompe.
Certo la Parola viene udita nella liturgia eucaristica, ma non viene poi ascoltata, tradotta nella vita.
Il motivo è descritto utilizzando la parola gloria, rispettivamente di Dio e degli uomini:
noi, spesso, puntiamo ad avere maggior peso nelle relazioni mondane che in quelle con Dio.
Temiamo più l’uomo, la compromissione del nostro ruolo societario,
che il trascurare quella via di felicità che Dio ci indica.
Ciò accade perché questa via implica il coraggio di sostenere le proprie idee,
di esprimere nel dialogo argomentato il nostro dissenso da vie mondane,
e non tutti hanno questo coraggio.
Ma i compromessi con la propria coscienza cristiana, a lungo andare spengono la fede,
magari ci fanno apparire uguali al pensiero di chi si ritiene emancipato da Dio.
Ma noi non siamo più adolescenti, che per paura di essere esclusi non controbattono
le denigrazioni religiose degli amici, non tacitano le bestemmie udite, fingendo di non sentirle.
Noi siamo credenti e questo implica la limpida coerenza, fatta non di grandi argomentazioni,
bensì di una vita umanamente pregevole, che sa, se non fare grandi discorsi teologici, almeno
dichiarare apertamente quanto la fede e la vita nella comunità cristiana promuovono la sua vita.

3. Insensatezza del rifiuto di Dio

Ancora un confronto con Mosè, ma per dire quanto “degno di una gloria maggiore”
sia il Cristo che viene a nome di Dio per essere “come figlio posto sopra la sua casa” (Epist.).
Mosè fu servo fedele per la Prima Alleanza;
ma Gesù è il Figlio stesso di Dio che viene a costruire tra gli uomini
“la sua casa”, l’autentica casa di Dio.
Gesù è contestato proprio da coloro che più di tutti
dovrebbero conoscere le Scritture che parlano di Lui.
Ma il misconoscimento è dramma antico e sempre attuale;
dell’antico Israele come della nostra attuale cultura, che è pronta a credere a tutti tranne che in Dio:
“Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete.
Se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste”.
E’ l’insano atteggiamento dell’ateo, che se dichiara di non credere in Dio,
non è che non creda in niente, ma finisce di credere a tutto! 
 

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