1 settembre 2024 - I Domenica dopo il Martirio

Omelie festive

Giovanni 3,25-36


1. Invidie e gelosie senza senso

Nel vangelo emerge la figura del Battista che desidera diminuire di fronte all’arrivo del Cristo.
Di solito è il contrario: chi ha successo, difficilmente lascia i suoi privilegi a favore di un altro.
Spesso capita anche tra padri e figli nelle Aziende, in Associazioni, Fondazioni e cose simili...
L’evangelista Giovanni ci ricorda che anche Gesù battezzava, e non solo, anche i suoi discepoli.
Questo fatto suscita invidia nei seguaci di Giovanni il Battista,
che subito corrono da lui a riferire l’increscioso episodio.
È il grande tema che affligge l’umanità di tutti i tempi: l’invidia.
Parafrasando il capitolo 2 del Libro della Sapienza potremmo definirla “principio di morte”;
infatti essa distrugge anzitutto l’interiorità di chi la prova.
Da discepoli ci si può, per disavventura, trasformare in fanatici.
Un malattia contagiosa che già toccava le prime comunità cristiane.
Ne scrive Paolo in una sua lettera, a quelli di Corinto, dove c'era scontro
tra gli uni che dicevano di essere di Paolo e gli altri, che erano di Apollo.
Paolo scrive: "Che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti
alla fede, come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva
crescere. Né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere" (1Cor 3,4-7).

2. L'amico introduce lo sposo

Ma il Battista e Gesù sono superiori a queste piccinerie. Nuova la testimonianza del Battista,
che riconosce che il maggior successo di Gesù viene dall’alto, perché è lui l’inviato di Dio.
Ricorda ai suoi discepoli che la sua funzione è solo quella di preparare l'arrivo dello sposo.
Bella l'immagine dello sposo e dell’amico che gioisce per le sue nozze con il popolo di Israele.
E' un'icona che riprende il messaggio dell’Antico Testamento, dove spesso Jahveh è presentato
come lo sposo di Israele. Ora il Battista dice qualcosa sull’origine del vero rivelatore di Dio.
Le sue parole ci conquistano, soprattutto se pensiamo alla sua tempra forte, di uomo del deserto,
profeta dalle parole infiammate che afferma: "Lui deve crescere, io, invece, diminuire".
Si può essere dunque forti e umili ad un tempo? E non avremmo bisogno di donne e uomini
che sanno unire ad un tempo fortezza e umiltà? Non è proprio l'umiltà la nostra forza?
Giovanni mette in piena luce una differenza - e vuole che la si riconosca - tra chi viene dall'alto
e chi viene dalla terra: il Messia Gesù viene dall'alto; lui, il suo precursore, dalla terra.
La parola di Gesù non procede dalla terra, ma viene dall’alto.
È Gesù che ha ricevuto lo Spirito senza misura e dice le parole del Padre.
Per questo motivo la sua parola è quella vera, quella che dà la vita.
Purtroppo, anche la parola che viene dall’alto viene rifiutata,
perché gli uomini si sono impossessati dei doni divini e li vogliono gestire alla propria maniera.
La luce è apparsa nelle tenebre, per grazia di Dio essa continua a brillare
e saremo beati se ce ne lasciamo illuminare fin dentro il cuore.

3. No ad ogni autoreferenzialità

Il Vangelo ci fa riflettere: per arrivare a Gesù occorre una mediazione umana,
che renda credibile, buono per noi, questo ‘passaggio’.
Ecco l’importanza della presenza sui nostri territori di comunità cristiane
umanamente credibili e significative, che sappiano propiziare,
a partire dal canale umano (relazioni buone, alte, leali) l’incontrò con Gesù.
Questo significa rinunciare ad ogni autoreferenzialità come parrocchie, movimenti, associazioni.
Cioè avere cura di non creare recinti in cui viviamo bene con amici,
ma tenere porte e finestre spalancate.
Molto può nella conversione delle persone la nostra qualità umana,
veicolo imprescindibile del Vangelo del Signore.
 

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