L’adozione

ANNO DELLA FAMIGLIA AMORIS LAETITIA

Ottava scheda di approfondimento dell'Esortazione Apostolica del Papa


Tutto è cominciato con la frase di una dottoressa in ospedale: “Non potete avere figli in modo naturale. L’unico modo è la PMA (procreazione medico assistita)”. Allora abbiamo iniziato le cure, ma con scarsi risultati. Tre interventi chirurgici mi hanno portato via una parte di organi per il concepimento, ma non la voglia di essere madre.
Il bambino tanto desiderato non arrivava e aumentava lo sconforto. Ciononostante, ci siamo sposati, con la voglia di stare uniti nella gioia e nel dolore. Pregavo così: “Se questa è la tua volontà l'accetto; ma dammi la forza di affrontare il dolore e accettare quel che non posso cambiare”.

In viaggio di nozze siamo andati in Madagascar: un posto magico ma pieno di bambini poverissimi. Lì forse Dio ha voluto darmi un segno. Volevo essere madre e non mi importava di partorire; desideravo solo... un figlio da amare.

Inizialmente Mirko non era convinto dell'adozione. Come avrebbe potuto amare un figlio senza il suo DNA? La burocrazia sarebbe stata complicata, dicevano tutti! Anch'io sapevo che non sarebbe stato semplice, ma sentivo che era la strada giusta.
In quel periodo natalizio ci hanno chiesto di ospitare una bambina bielorussa per allontanarla da Chernobyl. “Perché non farlo?”. Così Yuliya è stata con noi per un mese: un’esperienza bellissima, ripetuta in estate. 
Pian piano Mirko ha cambiato idea, tanto che pensavamo di adottare Yuliya, ma è stato impossibile essendo già affidataria al suo paese.
Certo il percorso di adozione avrebbe potuto risultare negativo, ma non volevamo avere rimorsi e rimpianti in futuro. 
A marzo 2018 deposte le pratiche in tribunale, abbiamo iniziato i colloqui con psicologi e assistenti sociali. Spesso ne uscivamo sconfortati: siamo inadeguati al ruolo di genitori o sono loro a farci sentire così? Dio ci ha aiutati a non mollare. Io gli ripetevo solo: “Sia fatta la tua volontà. Fammi capire cosa devo fare”.
Anche dopo l'incontro con vari giudici, l'esito atteso non arrivava mai. 

Stavamo perdendo le speranze, quando d'un tratto è cambiato tutto: il 20 dicembre 2019 ci è stato detto che saremmo diventati genitori di Gabriele (il nome significa: “Dio è stato forte”). 
Il mio bambino era lì in ospedale, che urlava nella sua culla, per farsi sentire da tutti che lui c’era, sopravvissuto a una brutta gravidanza e poi abbandonato. Ora però era pronto ad affrontare una vita non facile dall'inizio. 
Siamo entrati in quella stanza, mano nella mano, emozionati, spaventati, felici e tremanti. L’assistente sociale ha sussurrato: “Hai visto, Gabriele? Te l’avevo detto che oggi sarebbero venuti mamma e papà”. Impossibile descrivere a parole cosa abbiamo provato nel tenerlo in braccio la prima volta. Lacrime di gioia rigavano i nostri volti. Tutto aveva un senso finalmente! La strada intrapresa, gli ostacoli superati, le delusioni e le sofferenze provate negli anni erano serviti per portarci a nostro figlio. 

Una frase di Michel Quoist racchiude il senso dell’adozione: “Voi innesterete le vostre vite sulla mia crescita selvatica e grazie a voi io rinascerò una seconda volta. Voi non giudicherete i miei genitori sconosciuti, li ringrazierete e mi aiuterete a rispettarli. Perché dovrò riuscire lo so, ad amarli nell’ombra, se un giorno vorrò poterli amare nella luce”.

Carmen e Mirko

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cap. V - §§ 178 - 181
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